Il Consumatore cheabbia conferito ad un’agenzia immobiliare un mandato di vendita irrevocabile e/o in esclusiva, può, avendo stipulato il contratto in questione con un Professionista, in presenza di alcune specifiche circostanze previste dal Codice del Consumo, godere di alcune delle tutele apprestate dalla normativa consumeristica.
In particolare, nelle ipotesi in cui il Consumatore si sia, per esempio, successivamente “pentito” di aver firmato il contratto in questione – o perché eccessivamente vincolante o perché eccessivamente oneroso o per essersi reso conto che il contratto in questione non è idoneo a tutelare i propri interessi o a soddisfare le proprie esigenze, ecc. –, potrebbe verificare, al fine di uscire ”indenne” dal rapporto, se le clausole di esclusiva e irrevocabilità sopra indicate siano affette da nullità discendente dalla violazione di alcune delle norme previste, per l’appunto, dal Codice del Consumo.
Va detto, innanzitutto, chi sia il “Consumatore”.
Ai sensi dell’art. 3, D.LS. 6 settembre 2005, n. 206, at. 3, Comma I, “Consumatore”è la persona fisica che agisca per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta e, in tale qualità, abbia agito al momento del conferimento dell’incarico al Professionista.
Si diceva che, molto spesso, i moduli predisposti dalla agenzie immobiliari prevedono il conferimento di un mandato irrevocabile ed esclusivo a procurare la vendita dell’immobile che ne costituisce l’oggetto.
L’irrevocabilità e l’esclusività comportano, per il venditore-committente, l’impossibilità di recedere dal contratto concluso con l’agente, unitamente al “divieto” di pervenire alla vendita dell’immobile in maniera autonoma.
Ora, a fronte dell’esame della suddetta, prestampata, modulistica, risulta evidente come, di fatto, venga garantita una facoltà di recesso, o di totale libertà contrattuale, al solo mediatore, ponendo, invece, a carico del consumatore, un impegno definitivo.
Può tranquillamente parlarsi di una facoltà di recesso da parte della sola agenzia, in quanto la medesima non assume solitamente alcuno specifico obbligo; in molti casi, i testi contrattuali precompilati si limitano, per esempio, a prevedere l’autorizzazione ad effettuare pubblicità (con esclusione di alcuno specifico obbligo di pubblicizzare e promuovere), lasciando, in fatto e in diritto, in facoltà dell’agenzia di svolgere tutte le attività che potrebbero agevolare la vendita.
Posto che l’obbligo di esclusiva, in generale, non viola alcun principio di buona fede, in quanto giustamente finalizzato a tutelare la posizione dell’agenzia contro possibili atteggiamenti scorretti del consumatore, che, d’altro canto, mira a ad evitare, per quanto possibile, esborsi a titolo di provvigione, va comunque rilevato che, nei casi in cui il contratto determini obblighi e oneri a carico esclusivamente del consumatore e, di contro, rimetta l’esecuzione della prestazione dell’agente alla sua esclusiva volontà, ciò determina, evidentemente, un contrasto con la previsione di cui all’art. 33 D.LS. 6 settembre 2005, n. 206, Lett. d), e, naturalmente, un più che significativo squilibrio – in danno del consumatore – dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, ai sensi dell’art 33, Comma I.
Ciò avviene, in particolar modo, quando il cliente non abbia potuto in alcun modo scegliere la tipologia del mandato conferito, essendosi trovato nella necessità di “accettare” la tipologia predisposta dal professionista, e cioè, solitamente, un mandato irrevocabile in esclusiva.
Il “significativo squilibrio” di cui sopra è certamente sussistente quando la clausola di irrevocabilità ed esclusiva non venga contrattualmente controbilanciata dalla previsione di una serie di oneri aggiuntivi a carico dell’agenzia di mediazione e, cioè, quando non vengono in alcun modo specificati gli obblighi di quest’ultima, anche al fine di valutare un suo eventuale inadempimento e/o non trovano specifica indicazione neppure i mezzi promozionali (come, ad esempio, pubblicazioni di settore e/o quotidiani o altri idonei mezzi pubblicitari, fra cui l’inserimento in banche dati e, ove possibile, in siti internet, numero minimo di avvisi pubblicitari ai quali l’agente si impegna, es. numero minimo di inserzioni su giornali locali, regionali o interregionali, numero minimo di pubblicazioni su riviste di settore specificando se si tratta di riviste locali, regionali o interregionali, volantinaggi, etc ).
In tali ipotesi, ben prima che una discrezionalità nell’adempimento dell’obbligo di utilizzare mezzi di promozione, può ben dirsi che non viene previsto alcun obbligo di promozione e ricerca, di guisa che il consumatore, privato sin da subito della libertà contrattuale, si trova anche nell’impossibilità di disporre di adeguate garanzie in merito alla tipologia dei mezzi promozionali utilizzati dal mediatore.
Ciò che comporta necessariamente, già in sé, una violazione dell’art. 33, comma 1 suddetto, per significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto e della succitata Lettera “d”, per la previsione di un impegno definitivo del consumatore, mentre l’esecuzione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà, una violazione dell’art. 33, Comma II, Lettera t), per l’evidente restrizione della libertà contrattuale nei confronti dei terzi, una violazione della lettera v) del medesimo articolo, per essere stato previsto un immediato obbligo in capo al consumatore senza prevedere, alcuna obbligazione in capo al professionista: il tutto determinando un inammissibile, più che significativo, squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
Sono numerosi i casi in cui i moduli predisposto dalle agenzie immobiliari prevedono le cosiddette clausole penali contrattuali.
Tale ulteriore obbligo, combinato di regola con quelli di irrevocabilità, esclusiva e di tacita proroga e rinnovazione determina, inevitabilmente, e senza dubbio, la restrizione della libertà contrattuale delconsumatore nei rapporti con i terzi (art. 33, 2° comma, Lett. d, g, t, v), non potendo quest’ultimo concludere in proprio l’affare né, tanto meno, incaricare altro intermediario, senza previsione di obbligo alcuno in capo all’Agenzia.
La penale, che di per sé non è elemento vessatorio, lo diventa nelle ipotesi sopra indicate, in quanto, tra l’altro, di regola posta a carico del solo consumatore.
E’ inoltre quasi costante nella prassi il caso in cui l’importo della penale viene quantificato in misura pari – o di poco inferiore –all’ammontare della provvigione dovuta in caso di conclusione del contratto, ciò che determina una notevole sproporzione nel sinallagma contrattuale, ponendo a carico del solo committente una penale di importo manifestamente eccessivo (art. 33, Coma II, Lett. F).
L’eventuale “salvezza” delle clausole di esclusività, irrevocabilità con previsione di un importo dovuto a titolo di penale potrebbe ipotizzarsi, a tutto concedere, nei casi in cui l’obbligo del consumatore fosse rigorosamente e specificamente limitato nel tempo, tali previsioni siano state oggetto di una vera e propria trattativa tra il mediatore ed il consumatore, sia stabilito un diritto di recesso anche in favore del consumatore, siano stati previsti specifici oneri ed obbligazioni a carico del mediatore (es: pubblicità) e la penale non sia determinata nella misura delle provvigioni cui il professionista avrebbe avuto diritto nell’ipotesi di conclusioni dell’affare, bensì in una misura sensibilmente inferiore.
La vessatorietà di tali clausole non può, quindi, essere esclusa quando il mediatore non abbia assunto alcuna specifica obbligazione, e, quindi, neppurel’obbligo di provvedere a gestire diligentemente l’incarico e ad apprestare adeguate forme di pubblicità in relazione alla vendita e alle caratteristiche dell’immobile in oggetto, poiché, in tale eventualità, può ben dirsi che l’esecuzione del mandato è stata rimessa all’arbitrio del professionista.
Le conclusioni sopra raggiunte sono state ben più autorevolmente consacrate in numerosi interventi dall’AGCM, che, in più circostanze (si veda, ma solo a titolo esemplificativo, CV62 – RE/MAX – CONTRATTI SETTORE IMMOBILIARE,Provvedimento n. 24998, L’AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO NELLA SUA ADUNANZA del 25 giugno 2014), ha statuito che clausole del tenore di quelle sopra indicate hanno per oggetto o per effetto quello di limitare la libertà contrattuale del consumatore in ragione del rinnovo tacito dell’incarico unitamente al patto di esclusiva, per un tempo indefinito e sancire a carico del consumatore limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni o restrizioni alla sua libertà contrattuale.
In particolare, l’Autorità ha stigmatizzato e qualificato quali vessatorie clausole disciplinanti la facoltà di conferimento dell’incarico all’Agente con esclusiva,termini di disdetta e rinnovo tacito, la mancata accettazione da parte del venditore di proposte d’acquisto conformi all’incarico, e relative penali, penali a carico del venditore in caso di impedito accesso all’immobile, termini di irrevocabilità della proposta d’acquisto.
Quanto all’esclusiva e alla durata dell’incarico e al rinnovo tacito, il Garante ne ha sancito la vessatorietà considerando che, nei contratti esaminati, da un lato, non si dava “né la possibilità di scegliere – in sede di sottoscrizione – tra la cessazione dell’incarico alla scadenza ed il suo tacito rinnovo”, né “tra rinnovo tacito con o senza esclusiva”, essendo così non prevista “la possibilità di recedere senza penali”, prospettata anche in una “formulazione non chiara e comprensibile”, e pertanto contraria all’art.35, co.1, Codice del Consumo. Inoltre, un termine troppo anticipato per la disdetta (30 giorni in relazioni a contratti di durata di un anno nell’ipotesi esaminata dall’AGCM), risulta parimenti vessatorio considerando che detto termine “comporta per il consumatore l’onere di attivarsi ben prima di tale termine anche per valutare la convenienza della prosecuzione del rapporto contrattuale, ovvero, se del caso, reperire altro agente cui affidare l’incarico, valutando le altre possibilità sul mercato”.
Si è detto sopra che la clausola di esclusiva è idonea a determinare una restrizione della libertà contrattuale del consumatore, sulla base della quale può presumersi la vessatorietà ai sensi delle disposizioni sopra citate, fermo restando che tale presunzione può essere esclusa da accordi contrattuali che abbiano l’effetto di riequilibrare i diritti e gli obblighi di consumatore e professionista.
E’, però, opportuno rilevare come, secondo l’opinione più rigorosa, per potersi escludere la vessatorietà di una clausola di esclusiva, l’unico rimedio dovrebbe essere individuato in una consimile limitazione della libertà contrattuale del professionista.
La soluzione più ragionevole per equilibrare il rapporto consumatore-professionista pare, invece, quella, già sopra esplicata, di inserire nel contratto, analogamente alle obbligazioni del consumatore, gli specifici obblighi che incombono sul professionista, in modo da poter valutare preventivamente il “sacrificio” economico e giuridico di quest’ultimo: solo in tal modo sarebbe teoricamente prospettabile una salvezza della clausola di esclusiva.
Si è discusso, da parte degli interpreti più attenti, se possa escludere la vessatorietà della clausola di esclusiva la previsione, nel medesimo testo contrattuale, di un’”alternativa”, nel senso che sia rimessa al consumatore la scelta se accettarla l’esclusiva o non accettarla, barrando la relativa opzione.
Anche in relazione a tale fattispecie, alcuni interpreti hanno sottolineato che la semplice possibilità di scelta non possa condurre a presumere l’esistenza di una trattativa sulla singola clausola, essendo sempre e comunque necessario, al fine di pervenire un effettivo equilibrio delle posizioni delle parti, che la scelta della clausola di esclusiva sia controbilanciata da un correlativo vantaggio per il consumatore, che potrebbe consistere, per esempio, nella previsione di una provvigione inferiore.
E’ interessante ricordare che è molto diffusa la prassi di “camuffare” il contratto di mediazione sotto la fattispecie del cosiddetto contratto di procacciamento di affari, tentando, in tal modo, di “salvare” da eventuali pronunce di vessatorietà la previsione dell’esclusiva in favore del professionista-mediatore: l’esclusiva è, infatti, un effetto naturale del contratto di agenzia (1743), di talché non potrebbe essere pronunciata la vessatorietà della relativa clausola in quanto riproducente il contenuto di una disposizione codicistica aisensi dell’art. 34, Comma III.
Tale operazione si pone, però, in contrasto col disposto dell’art. 1344 Cod. Civ., poiché la sussunzione di quello che è a tutti gli effetti un contratto di mediazione sotto il nomeniuris del contratto di agenzia costituisce evidentemente una “frode” alla legge, ai sensi della summenzionata norma, e, quindi, la prevista clausola di esclusiva dovrà ritenersi a tutti gli effetti nulla in quanto vessatoria, come vessatoria dovrà ritenersi in tutte le ipotesi in cui vengano sanciteanaloghe limitazioni della libertà contrattuale.
Tale è, come già sopra rilevato, la previsione di una penale di entità pari, o di poco inferiore, alla provvigione nell’ipotesi non già di rifiuto da parte del consumatore di accettare una proposta di acquisto conforme a quella contrattualmente sancita, ma, addirittura nelle ipotesi in cui si sia in presenza di comportamenti del consumatore non puntualmente disciplinati e in assenza di rifiuto da parte di quest’ultimo di proposte di acquisto da parte di potenziali compratori regolarmente inoltrate dall’Agenzia.
Tutte le considerazioni sopra svolte valgano anche per la clausola di “irrevocabilità”: anche questa preclude, infatti, al consumatore di recedere dal contratto di mediazione prima della scadenza; essa ha, infatti, quale unico obiettivo quello di impedire al consumatore, durante il periodo di efficacia del contratto, la realizzazione per altre vie dell’affare: è, quindi, palese che l’effetto di una consimile clausola è quello di limitare la libertà contrattuale del consumatore.
La clausola di irrevocabilità deve presumersi vessatoria nella misura in cui riconosce al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto: essa determina un significativo squilibrio, in danno del consumatore, del sinallagma contrattuale, con violazione dell’art. 33, Comma I e dell’art. 33, Comma II, Lettere d), f), g), t), v).
Posto quanto sopra, è evidente che l’eventuale previsione di clausole di irrevocabilità del mandato e di esclusiva, unitamente a quelle di tacita proroga potrebbero essere tutte affette da vessatorietà ai sensi del D.LS 6 settembre 2005, n. 206, e, in particolare ai sensi della Lettera d) del medesimo articolo, della Lettera f), della Lettera g), nonché della Lettera i), t) e v).
La previsione di un’irrevocabilità del mandato e dell’esclusività dell’incarico, il tutto senza previsione di obblighi in capo al mandatario in grado di, se non “controbilanciare”gli impegni assunti in via definitiva dal consumatore, quanto meno di impegnare il Professionistaallo svolgimento di prestazioni oggetto di una qualsivoglia obbligazione, può determinare una situazione per cui è in totale facoltà – e rimesso alla volontà del – professionista non svolere alcuna attività nell’ambito dell’instaurato rapporto contrattuale.
Devono, quindi, in tali eventualità, ritenersi inefficaci, nei confronti del consumatore, sia la clausola di esclusiva in favore dell’agenzia, sia quella prevedente l’irrevocabilità del mandato, sia quella prevedente la proroga del contratto alla scadenza del primo periodo di vigenza salva disdetta.
LA NULLITA’ E/O INEFFICACIA DELLA CLAUOLA PENALE
Nello schema negoziale predisposto dal Professionista, viene sovente previsto il pagamento di una penale per le ipotesi di impedimento al normale svolgimento dell’attività dell’Agenzia, violazione del patto di esclusiva, rinuncia a vendere alle pattuizioni indicate nell’incarico di vendita, revoca o recesso anticipato prima della sua scadenza, vendita diretta dell’immobile durante il periodo di validità del contratto, vendita dopo la scadenza a persone contattate dall’Agenzia durante il periodo dell’incarico.
Molteplici testi predisposti dai Professionisti prevedono un ammontare della penale contrattuale identico a quello pattuito per la provvigione in caso di vendita dell’immobile, e, quindi, senza nessuna commisurazione ad una percentuale della provvigione ed in un importo fisso e immutabile.
La previsione di una penale, di per sé non illegittima (vessatoria), lo diventa senza dubbio in ipotesi ove abbia ad oggetto – o produca l’effetto – di imporre al consumatore, in caso d’inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro di importo manifestamente eccessivo a titolo di risarcimento o ad altro titolo equivalente, ovvero la medesima si appalesi, nel caso concreto, estremamente generica.
E’ stato, ad esempio, sostenuto che nell’ipotesi di previsione dell’obbligo del pagamento della penale, quando il contratto di compravendita immobiliare si è concluso con persone presentate e/o indicate dall’agenzia, dopo la scadenza del contratto di mediazione, la relativa penale possa essere considerata vessatoria, per la sua estrema genericità, in relazione all’indeterminatezza del periodo di tempo successivo alla scadenza del contratto di mediazione nell’arco del quale il contratto di compravendita immobiliare può essere concluso. Infatti, una clausola siffatta può avere una giustificazione qualora vi sia l’intento elusivo del committente, diretto a far scadere il contratto di mediazione per evitare il pagamento della provvigione. Ma, naturalmente, una tale previsione, se pur legittima, deve essere meglio articolata con l’obbligo posto a carico dell’agente di comunicare al venditore/committente tutti i nominativi di coloro che hanno ispezionato l’immobile e, soprattutto, deve precisare tassativamente l’ambito temporale con l’indicazione di un limite rigoroso.
Nella prassi, inoltre, in molti casi, la penale viene fissata in misura identica a quella dell’importo della provvigione anche per l’ipotesi di “impedimento del normale svolgimento dell’attività dell’agenzia”: tale previsione deve, in primo luogo, ritenersi necessariamente eccessivamente generica e indeterminata, priva di specificazione alcuna circa le modalità di “impedimento”, e, quindi, priva di chiarezza e comprensibilità.
In secondo luogo, la relativa clausola deve ritenersi vessatoria, perché determina un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi determinati nel contratto, dal momento che, tra l’altro, pur in assenza, ed, anzi, prescindendo dalla conclusione del contratto, accolla al consumatore una somma consistente a titolo di penale per una prestazione dell’agenzia del tutto inadeguata, il tutto in violazione degli artt. 33, Comma I G.LS 6 settembre 2005, n. 206.
In tal modo l’Agenzia verrebbe a percepire una penale per ragioni del tutto indipendenti dal proprio operato, per attività che nulla hanno a che vedere con la mediazione, anche in assenza di obbligazioni o attività alcuna, per il solo fatto di aver sottoscritto il contratto, e anche nelle ipotesi in cui, ad esempio, le condizioni di vendita cristallizzate nel mandato fossero del tutto fuori mercato o non esistessero sul mercato compratori interessati alla tipologia offerta, ecc., in ipotesi in cui, quindi, il contratto di compravendita non potrebbe mai essere stipulato né con né senza l’intervento dell’agenzia.
Onde, la sussistenza, ab origine, del significativo squilibrio di cui all’rt. 33, Comma I, con conseguente nullità e/o inesistenza della clausola in oggetto.
Inoltre, la previsione della penale di tal fatta dovrebbe ritenersi vessatoria perché l’importo della medesima risulta manifestamente eccessivo, poiché quantificato in misura pari al corrispettivo dovuto a titolo di provvigione, in contrasto con quanto disposto dall’art. 33, Comma II, Lett. f.. Il che costituisce e determina, naturalmente, una palese significativo squilibrio, in danno del Consumatore ed in favore dell’Agenzia, dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto, ai sensi dell’art. 33, Comma I.
La “penale”, che, come sopra riferito, non deve essere manifestamente sproporzionata, deve, in generale, essere determinata in base alla pregnanza degli obblighi imposti a ciascun contraente e non commisurata semplicisticamente, in maniera predeterminata, alla provvigione.
Onde la vessatorietà di una clausola contenente una consimile previsione.
In ormai svariate circostanze, la giurisprudenza di legittimità e di merito è intervenuta per dichiarare la vessatorietà e, quindi, la nullità e l’inefficacia, di clausole contrattuali prevedenti il pagamento di un importo molto simile – e, a maggior ragione, uguale – alla provvigione vera e propria, in caso, ad esempio, di recesso anticipato del cliente.
Secondo la giurisprudenza,una clausola simile non può ritenersi rispettosa delle norme poste a tutela del consumatore dal Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206 del 2005).
Questo, in generale, l’iter logico seguito dalla giurisprudenza per giungere alle prefate conclusioni:
– ai fini della configurabilità del diritto del mediatore alla provvigione indipendentemente dalla conclusione dell’affare è insufficiente il mero ricevimento dell’incarico, ma è necessario che sussista un patto ulteriore che valga a collegare tale diritto ad un fatto diverso, quale, ad esempio, l’avere il mediatore svolto per un certo tempo una concreta attività di ricerca di un terzo interessato all’affare;
– il compenso che matura il mediatore per l’attività svolta non può essere equiparato alla positiva conclusione dell’affare (si veda, ma solo per esempio, sul tema: Cass. sez. I, 7067 del 15.5.2002);
– inoltre, se il conferente recede dall’incarico (anche se ingiustificatamente), la previsione dell’obbligo di corrispondere un compenso al mediatore può avere causa nell’attività posta in essere nella ricerca di un soggetto interessato all’acquisto, ma non può avere un’entità tale da avvicinarsi concretamente alla provvigione che sarebbe maturata in caso di conclusione dell’affare.
In pratica, quindi, nell’esercizio dell’autonomia contrattuale, le parti devono preventivamente stabilire quale debba essere il compenso del mediatore per l’attività svolta fino all’eventuale recesso.
E’, quindi, vessatoria le previsione di una penale uguale o simile all’importo della provvigione, dato che il diritto al compenso per il caso di recesso anticipato viene in tal modo fissato in misura indipendente dal tempo per il quale l’attività del mediatore è stata svolta fino al momento dell’asserito inadempimento (si veda, a titolo esemplificativo: Tribunale, Roma, sez. X civile, sentenza 19/05/2016 n° 10118; Tribunale Ancona, 28/02/2005, n. 858; Tribunale Arezzo, 11/04/2016, (ud. 08/04/2016, dep.11/04/2016), n. 452; Tribunale Roma, sez. X, 13/11/2013, n. 22770).
RIDUZIONE DELL’AMMONTARE DELLA PENALE AI SENSI DELL’ART. 1384 Cod. Civ.
Per l’ipotesi in cui l’eventuale clausola penale stabilita nel contratto di mediazione dovesse superare il vaglio del giudizio di vessatorietà ai sensi della disciplina consumeristica, residuerebbe, comunque, la possibilità, in capo al conferente il mandato, e sussistendone i presupposti, di chiedere giudizialmente lariduzione di una penale manifestamente eccessiva ai sensi dell’art. 1384 del Codice Civile, che, per l’appunto stabilisce che il relativo importo può essere diminuito equamente dal Giudice, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo.